
Riflessione a Cura di Mons. Erminio Villa
19 ottobre 2025
DEDICAZIONE DEL DUOMO DI MILANO (C)
VANGELO Lc 6, 43-48
✠ Lettura del Vangelo secondo Luca
In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai suoi discepoli: «Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda. Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico? Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene».
- Il nostro Duomo: Chiesa cattedrale
Il termine Duomo deriva dal latino casa, una casa ben fatta, ben costruita, accogliente e signorile. Il nostro Duomo è la Cattedrale dell’Arcidiocesi di Milano, la sede del Vescovo, la sua ‘Cattedra’, da dove esercita il magistero episcopale in comunione con il Papa e gli altri Vescovi.
Il nostro Duomo fu iniziato nel XIV secolo e ancora oggi è in continuo restauro. Simbolicamente indica il destino della Chiesa stessa, semper reformanda, cioè che ha bisogno di lasciarsi plasmare dallo Spirito, nel corso dei secoli, per non perdere la profezia che l’ha generata: l’annuncio del Regno che è venuto, che opera nel presente e che in Cristo verrà.
Oggi, idealmente ci stringiamo attorno al nostro Arcivescovo Mario, che diuturnamente si spende per presiedere alla carità pastorale nella Diocesi. Che cosa vuole dire carità pastorale?
E’ un termine nato in Francia dall’allora Arcivescovo di Parigi Card. Mercier e ripreso dal Concilio Vaticano II: esso indica la cura del Vescovo, affinché nella Diocesi non manchino i mezzi necessari per incontrare il Signore, per il servizio alle nuove e vecchie povertà, per sostenere la società civile, nel rispetto dei ruoli, affinché giustizia e legalità trionfino.
- Chiesa: comunità aperta e in missione
La prima lettura appartiene alle terza parte di quella scuola profetica di Isaia (60, 11-21). Sembra di leggere la finale del libro dell’Apocalisse di Giovanni, dove, sconfitto il drago rosso (il male, il maligno), la sposa: Gerusalemme, scende dal cielo ed è dimora felice dei giusti.
Nel contempo va rilevato un versetto che Gesù riprenderà nel Vangelo di Matteo, nelle Beatitudini: i giusti (miti) erediteranno la terra. Se vogliamo attualizzare, palese è l’invito per una Chiesa aperta, per parrocchie accoglienti, non arroccate al campanile.
E siccome oggi la gente non viene molto, val la pena di ricordare l’invito di Papa Francesco ad essere non solo Chiesa accogliente, ma anche Chiesa in uscita; Chiesa che conosce le radici profonde che sorreggono la cultura del suo tempo, Chiesa non lamentosa dei tempi passati, ma attenta agli spiragli di luce che si aprono nel pensiero contemporaneo, per inserirsi in questi pertugi e trasformarli in strade percorribili, per l’annuncio del Vangelo.
- Il sacerdozio comune dei fedeli
Pietro (1 Pt 2,4-10) ci ricorda che questa missione non è riservata ai consacrati, bensì a tutto il popolo di Dio in virtù del proprio Battesimo. Ogni fedele laico è ‘sacerdote’, chiamato a vivere del sacerdozio comune dei fedeli, cioè ad offrire se stesso, a vivere la vita nella forma del dono di sé alla causa del Vangelo.
Luca, nel Vangelo di oggi (Lc 6, 43- 48) ci invita ad avere cura della nostra formazione interiore, a edificare la nostra vita su un fondamento sicuro che è Cristo, vivendo con coerenza quanto professiamo.
Viene spontanea la domanda: quanto tempo dedichiamo alla formazione della nostra fede? Preghiera, formazione catechetica (gruppi di Ascolto, gruppi di spiritualità familiare, varie proposte di Associazioni e Movimenti)?
Molto si dedica alla cultura del corpo, e questo è un bene, ma come potrà reggere questo nostro corpo ai marosi della vita, al suo deperimento organico, inevitabile con il passare degli anni, se non è animato da un desiderio profondo di un senso per la vita e per la morte?
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don Erminio

