IL VANGELO DELLA DOMENICA

Riflessione a Cura di Mons. Erminio Villa

IV DOMENICA DI PASQUA (B)

 25 aprile 2021

VANGELO Gv 10, 27-30
✠ Lettura del Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai Giudei: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

  1. I verbi del pastore e delle pecore

Con una parabola Gesù cerca di rivelare ai farisei con cui polemizza, come egli non sia un ladro, ma sia il pastore che entra ed esce attraverso la porta dell’ovile, non in incognito, il pastore che cammina davanti a pecore che lo seguono perché riconoscono la sua voce.

La parabola però non viene compresa e allora Gesù fa dichiarazioni esplicite su di sé e sulla propria missione: è lui la porta dell’ovile, è lui il pastore buono che, pur di custodire le pecore, è disposto a dare la sua vita, perché ha la capacità di dare la vita per le pecore e di riceverla di nuovo dal Padre (Gv 10,17). Gesù denuncia che la situazione di non fede in lui è dovuta al fatto che quegli ascoltatori non sono sue pecore, perché non sono disposti ad accogliere le sue parole.

  1. Ascoltare

Gesù dice che quanti lo seguono, cioè sono suoi discepoli, “ascoltano la sua voce. Questo è l’atteggiamento di chi crede: egli crede perché ha ascoltato parole affidabili. È il primo passo che l’essere umano deve compiere per entrare in una relazione: ascoltare (che è molto più del semplice sentire) è riconoscere colui che parla dalla sua voce.

Ci vogliono certamente impegno e fatica, ma solo facendo discernimento tra quelli che parlano è possibile ascoltare quella voce che ci raggiunge in verità e con amore. Tutta la fede ebraico cristiana dipende dall’ascolto (“Shema‘ Jisra’el! Ascolta, Israele!” – Deut 6,5; Mc 12,29). Per avere fede in Gesù occorre dunque ascoltarlo, con un’arte che permetta una comunicazione profonda, la quale giorno dopo giorno crea la comunione.

  1. Seguire

La seconda azione che Gesù presenta come propria delle sue pecore si riassume nel verbo seguire“Esse mi seguono” (Gv 10,27). Materialmente ciò significa andare dietro a lui ovunque egli vada, ma seguirlo anche conformando il nostro camminare al modo in cui lui ci chiede di camminare.

Il pastore quasi sempre sta davanti al gregge per aprirgli la strada verso pascoli abbondanti, ma a volte sta anche in mezzo, quando le pecore riposano, e sa stare anche dietro, quando le pecore devono essere custodite perché non si perdano. Gesù assume questo comportamento verso la sua comunità, verso di noi, e ci chiede solo di ascoltarlo e di seguirlo senza precederlo e senza attardarci, rischiando di perdere il cammino e l’appartenenza alla comunità.

  1. Conoscere

In questa condivisione di vita, in questo coinvolgimento tra pastore e pecore, tra Gesù e noi, ecco la possibilità della conoscenza: “Io conosco le mie pecore” (Gv 10,27). Certamente Gesù ci conosce prima che noi conosciamo lui, ci scruta anche là dove noi non sappiamo scrutarci; ma se guardiamo a lui fedelmente, se ascoltiamo e “ruminiamo” le sue parole, allora anche noi lo conosciamo.

E da questa conoscenza dinamica, sempre più penetrante, ecco nascere l’amore, che si nutre soprattutto di conoscenza. Cor ad cor, presenza dell’uno accanto all’altro, possiamo quindi dire umilmente: “Io e Gesù viviamo insieme”. Gesù è “il pastore buono”, certo, ma anche l’amico fedele: sentendoci da lui amati, conosciuti, chiamati per nome, penetrati dal suo sguardo amante, allora possiamo decidere di amarlo a nostra volta.

Che cosa attendere dunque da Gesù Cristo? Il dono della vita per sempre e quella convinzione profonda che siamo nella sua mano e che da essa nessuno potrà mai strapparci via.

Mano che ci tocca per guarirci; mano che ci rialza se cadiamo; mano che ci attira a sé quando, come Pietro, affondiamo; mano che ci offre il pane di vita; mano che si presenta a noi con i segni dell’aver sofferto per darci la vita; mano che ci benedice, tesa verso di noi per accarezzarci e consolarci…

don Erminio

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