“PANDEMIA SOCIALE”:

allarme fame e nuove povertà

Riflessione a Cura di Fulvio Pedretti

Guerre, clima e la pandemia accelerano la fame: “Siamo vicini a una catastrofe umana alimentare”.

«Una carestia di proporzioni bibliche». Ricorrono a scenari apocalittici le Nazioni Unite nel descrivere quello che la pandemia di Coronavirus rischia di scatenare in termini di mancanza di cibo per un consistente numero di popoli della Terra. Un allarme che impone immediate azioni per assicurare la prosecuzione o la ripresa di scambi considerati essenziali e l’accesso ai finanziamenti necessari a sostenere alcune attività produttive di base.

«Siamo a un passo da una pandemia di fame. Se non ci prepariamo e non agiamo ora per garantire l’accesso, evitare carenza di finanziamenti e interruzioni degli scambi, potremmo trovarci ad affrontare più carestie di proporzioni bibliche nell’arco di pochi mesi», ha dichiarato nei giorni scorsi in una drammatica testimonianza al Consiglio di sicurezza dell’ONU il direttore del Programma alimentare mondiale, secondo cui c’è poco tempo a disposizione per intervenire prima che milioni di persone muoiano di fame. L’intervento del direttore arriva all’indomani della pubblicazione del rapporto compilato dall’Onu e da altre organizzazioni partner, secondo cui si potrebbe passare da 135 milioni a oltre 250 milioni di persone che rischiano la fame a causa della crisi, il doppio del numero stimato prima dell’inizio della pandemia.

«Ad ora sono oltre trenta i Paesi a rischio fame, e in dieci di questi già oggi più un milione di persone è a un passo della fame. Non si parla di persone che vanno a letto affamate, bensì di condizioni estreme, di uno stato di emergenza: le persone stanno letteralmente andando incontro alla fame. Se non procuriamo cibo alle persone, le persone moriranno. E’ più di una semplice pandemia: sta creando una pandemia di fame. Questa è una catastrofe umanitaria e alimentare».

Certamente il problema della fame nel mondo non è unicamente imputabile alla nuova piaga pandemica, piuttosto è esso stesso una piaga con radici profonde e di cui si è sovente discusso soprattutto in ambito Onu. Il punto è che il Covid-19 e la sua diffusione su scala planetaria ne sta causando una pericolosa accelerazione. Nel corso dell’intervento all’ONU si è infatti sottolineato che, già prima che iniziasse la pandemia del coronavirus, si intravvedeva che il 2020 avrebbe fatto registrare la peggiore crisi umanitaria dai tempi della 2^ Guerra Mondiale per diverse ragioni.

Come non ricordare le guerre in Siria e Yemen, le crisi in Sud Sudan, in Burkina Faso e nella regione centrale del Sahel, l’invasione di locuste in Africa e i disastri naturali più frequenti; senza dimenticare la crisi economica in Libano, che colpisce milioni di rifugiati siriani, e ancora la Repubblica democratica del Congo, il Sudan, l’Etiopia, e la lista prosegue senza sosta…

A tali fattori si è quindi aggiunta questa nuova “guerra”, ancora più subdola e letale. «Siamo già alle prese con la tempesta perfetta», si ammonisce all’ONU, sollecitando quindi lo stanziamento dei circa due miliardi di dollari già promessi. «Se riceviamo il denaro e teniamo aperte le catene di approvvigionamento, possiamo evitare la carestia, ma solo se agiamo ora possiamo fermare tutto questo».

Anche da noi, in mezzo alle nostre città, dopo la pandemia virale del Covid-19 che sta provocando migliaia di morti in tutto in mondo, è ormai comparsa una “pandemia sociale”, che sta generando milioni di nuovi impoveriti, che hanno perso quei brandelli di lavoro precario o nero che ora non c’è più.

Ne ha parlato Papa Francesco, durante la messa di mercoledì 23 aprile a Santa Marta. «Uno degli effetti di questa pandemia», ha detto il pontefice, «è che tante famiglie e persone che avevano un lavoro giornaliero o un lavoro in nero non possono lavorare e non hanno da mangiare. Sono nel bisogno, fanno la fame e purtroppo vengono “aiutate” dagli usurai, che gli prendono il poco che hanno».

Una realtà evidente a chi è impegnato sul campo: le grandi organizzazioni di assistenza e di solidarietà sociale, che vedono aumentare quotidianamente il numero di chi si rivolge a loro per un pacco viveri o il pagamento di una bolletta; ma anche i tantissimi gruppi di mutuo aiuto che sono sorti spontaneamente dal basso in molte città e paesi, soprattutto nei quartieri di periferia dove le conseguenze della crisi si manifestano con più forza, e che sostengono chi è rimasto indietro con distribuzioni di generi alimentari, acquistati con donazioni degli abitanti locali in una spontanea solidarietà di prossimità o messi a disposizione da qualche produttore locale.

«Rileviamo una crescita dell’afflusso di persone nelle nostre strutture e nei centri di ascolto che oscilla fra il 20 e il 50% in più», spiegano i responsabili di Caritas Italiana. «Si tratta di persone mai viste prima, perché prima ce la facevano, ora non più: anziani con la pensione minima che non riescono ad arrivare nemmeno alla terza settimana perché la rete famigliare o amicale che prima li sosteneva si è diradata; giovani e meno giovani, italiani e stranieri, che avevano impieghi precari o lavoravano in nero e ora non lavorano più. Insomma, tutti coloro che si trovano senza protezione e che chiedono un aiuto per mangiare, ma anche per pagare una bolletta o una mensilità dell’affitto. Le fasce sociali che già prima vivevano al limite e che ora sono state ricacciate ancora più indietro rischiano di diventare invisibili».

Una tendenza verso il basso confermata anche dalla Comunità di Sant’Egidio: «Nella prima fase dell’epidemia non ce ne eravamo ben resi conto, perché si rivolgevano a noi le persone che già conoscevamo. Il problema nuovo era soprattutto quello di spiegare ai senza fissa dimora “storici” quello che stava accadendo, dal momento che era scomparsa la loro rete di sostegno informale, dal passante abituale che li aiutava, al bar o al ristorante che offriva loro un panino o un piatto di pasta».

Poi però le cose sono cambiate: «Fra fine marzo e inizio aprile hanno cominciato a farsi avanti molte persone nuove, soprattutto dalle periferie. Per il primo mese, grazie a qualche risparmio, ce l’hanno fatta. Poi però hanno iniziato ad avere difficoltà, per il cantiere fermo, per il locale chiuso, per le consegne a domicilio ridotte, per il lavoro a giornata che non c’era più. Parecchi di loro stanno usufruendo o usufruiranno anche di qualche ammortizzatore sociale messo in campo dal governo e dai comuni, ma intanto il tempo passa e devono arrivare a fine giornata».

Sul piano più politico si propone una regolarizzazione allargata di lavoratori agricoli, ma anche di badanti, colf e babysitter, molto spesso lavoratrici e lavoratori stranieri sommersi. E la Caritas sostiene un piano per la protezione sociale universale contro la crisi: «Non vogliamo entrare nel merito delle singole proposte, ma lanciamo al governo un grido di allarme sulla gravità della situazione: bisogna intervenire in maniera concreta e strutturale, affinché milioni di persone non sprofondino nell’esclusione sociale».

Un elemento positivo di questa situazione? L’aumento dei volontari e di chi si è messo a disposizione. Da questa crisi, o si esce insieme o non si esce.

                                                                         Fulvio Pedretti

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