Festa di San Giovanni Bosco

31 gennaio 2020

Felici nel tempo e nell’eternità

La sfida educativa, come ogni sfida, ha a che fare con una competizione, una prova cui genitori, educatori, insegnanti.. non possono sottrarsi, c’entra con provocazioni e ribellioni: insomma, quante fatiche e quanti scontri! Anziché parlare di sfida, preferisco pensare l’educazione in termini di un’avventura, uno di quei viaggi che nel passato intraprendevano i grandi esploratori, incerti e spesso timorosi per il percorso, ma incuriositi e mossi dal desiderio di scoperte incredibili.

Così è per ogni bambino e ragazzo cui ci troviamo dinnanzi: educare significa tirar fuori, scoprire, svelare quei talenti che il Signore ha già seminato in ciascuno, perché possano germogliare e portare frutto.  Per far questo è necessario che lo sguardo di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani sia attento nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere (CV 67). Per far questo è necessario  mettere al centro e rendere protagonisti i ragazzi, non come dei piccoli baby boss, adulti in miniatura, padroni di tutto, ma come coloro che vedono il mondo con occhi sempre nuovi, capaci di insegnarci lo stupore per le piccole cose da guardare con occhi grandi, sgranati, traboccanti di meraviglia. Dobbiamo insegnar loro a custodire questo sguardo, a non annoiarlo con la nostra sfiducia, ma impararlo a nostra volta. Nella Parola di Dio il Signore sceglie spesso tra i giovani, ce lo ricorda Papa Francesco nell’incipit dell’enciclica Christus Vivit: Samuele, il re Davide, Salomone … Maria.

Don Bosco, patrono del nostro oratorio di cui il 31 gennaio ricordiamo la festa, tra tutta la gioventù, scelse i ragazzi più poveri, quelli più difficili, i più disgraziati e per questo dimenticati, sicuro che in ognuno esista un punto accessibile al bene, e fosse compito dell’educatore riuscire a trovare quella corda sensibile per farla vibrare. Educare chiede tempo, creatività, l’umiltà di mettersi da parte, pazienza e ascolto, chiede dialogo tra le generazioni, un dialogo dal quale entrambi gli interlocutori escano trasformati.

Per educare oggi, come allora,bisogna camminare con i piedi per terra, ossia rimanere immersi nella vita quotidiana, con la complessità del nostro tempo, la frenesia delle giornate, le ferite della società: diventare grandi in questo mondo non è facile, perché il futuro rimane spesso avvolto dal velo dell’incertezza, si pensi al tema dell’ambiente, del lavoro, della coesione sociale … se c’è una virtù che come adulti cristiani abbiamo quindi il dovere di trasmettere alle nuove generazioni, questa è certamente la speranza, quella fiducia da cui deriva la gioia piena e non effimera, perchè Cristo vive e ti vuole vivo! (CV 1), mostrando loro altri sogni che questo mondo non offre, testimoniando la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale (C.V.36).

Per i ragazzi di don Bosco il mondo non era più semplice, la vita era dura come un bambino oggi, in questo pezzo di mondo, non potrebbe immaginarsi, ma lui giullare dei campi è stato capace di mostrare loro che il vero orizzonte è la felicità nel tempo e nell’eternità. Sono passati 132 anni, ma lo stile di don Bosco continua ad abitare gli oratori di tanti paesi e città che non si arrendono davanti alla fatiche, ma continuano ad amare i giovani e spendersi per il domani.

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